ALLERGIA ALLE PROTEINE DEL LATTE O INTOLLERANZA AL LATTOSIO?

Noto ancora oggi tanta confusione tra le persone quando si parla di disturbi legati al latte; soprattutto nella distinzione tra allergia e intolleranza. Per questo motivo voglio fare chiarezza.

Allergie e intolleranze sono due disturbi che apparentemente possono sembrare uguali, ma che in realtà hanno caratteristiche ben distinte.

 

Alla base delle malattie allergiche vi è un’alterazione dei normali meccanismi di difesa del sistema immunitario, che tendono ad azionarsi nei confronti di sostanze giudicate pericolose dall’organismo, in genere sono proteine. Per intolleranza si intende, invece, la tendenza a sviluppare ipersensibilità verso una certa sostanza o un determinato alimento, a volte a causa della mancanza di enzimi in grado di degradare alcune sostanze nell’alimento.

 

ALLERGIA ALLE PROTEINE DEL LATTE

L'Allergia alle Proteine del Latte Vaccino (APLV) è una reazione immunitaria avversa ad una o a più proteine del latte vaccino, soprattutto caseina e b-lattoglobulina; per questo motivo, dopo la prima esposizione, l'ingestione di piccolissime quantità di questo alimento o dei suoi derivati è sufficiente per scatenare una reazione allergica.

La prevalenza dell’allergia alle proteine del latte vaccino varia tra 0,25% e 4,9%, con i valori maggiori nei bambini rispetto agli adulti; infatti tra il 2,0% ed il 7,5% dei lattanti può manifestare sintomi di APLV nel primo anno di vita. L’APLV interessa generalmente i bambini nei primi anni di vita, soprattutto quelli nutriti con latte artificiale e quelli che passano dal latte materno a quello di mucca. Si tratta infatti di un problema tipico dell’infanzia, che tende a scomparire in modo spontaneo. Raramente l’allergia si manifesta negli adulti.

Talvolta i sintomi possono comparire anche nel bambino allattato al seno, per il possibile passaggio nel latte materno delle proteine del latte vaccino contenute nell’alimentazione della mamma.

I sintomi più comuni di APLV sono dermatologici(eczema, orticaria, rash), gastrointestinali (diarrea, stipsi, vomito, reflusso gastroesofageo), respiratori(respiro sibilante, tosse, disturbi respiratori) e dal momento che il bambino può assumere una ridotta quantità di nutrienti, può manifestare un ritardo della crescita.

Dopo la diagnosi, per l'alimentazione dei neonati sono state studiate specifiche formulazioni ipoallergeniche. Tali formule vengono prodotte sfruttando tecnologie abbastanza complesse con lo scopo di rompere le proteine del latte e renderle innocue. Anche il latte di altri animali, come quello di capra, pecora o bufala, non può essere assunto da chi soffre di allergia alle proteine del latte, a causa di un fenomeno chiamato cross-reattività; questi latti, infatti, contengono proteine con sequenze amminoacidiche simili a quelle del latte vaccino che quindi possono a loro volta scatenare la reazione allergica. Questa caratteristica sembra invece essere assente nel latte di asina ed in quello di cavalla, che richiedono comunque ulteriori studi prima di essere impiegati nell'alimentazione dei soggetti allergici al latte di mucca. Un alternativa ai latti animali è rappresentata da quelli vegetali, come il latte di soia; quest'ultimo, tuttavia, può diventare a sua volta un allergene e comunque c’è da specificare che nonostante vengano chiamati “latti vegetali”, dal punto di vista della qualità nutrizionale, non hanno niente a che fare con i latti animali (sostanza naturalmente proveniente dalle mammelle degli animali) per cui non sono alimenti equivalenti al latte. Se il bambino soffre di allergia al latte vaccino, talvolta è necessario anche allontanare l'alimento ed i suoi derivati anche dall’alimentazione della nutrice.

Le proteine del latte, poi, si trovano anche come ingrediente in numerosi alimenti; per questo motivo è fondamentale imparare a leggere le informazioni riportate sulle etichette nutrizionali.

Le sostanze allergizzanti potrebbero essere presenti nell’elenco degli ingredienti delle etichette nutrizionali, anche senza l’indicazione precisa di latte vaccino, di biscotti, fette biscottate, creme monocereale, creme multi cereali, creme varie con verdure, pastine, paste, semolini, liofilizzati, omogeneizzati.

In etichetta, può essere presente la frase: “può contenere tracce di” per la possibile presenza di piccolissime quantità di allergeni, contenuti nel cibo, data dalla contaminazione durante il processo di lavorazione. Quindi, occhio all’etichetta e leggerla con molta attenzione, a volte sono presenti nomi che comunque sono elementi presenti nel latte vaccino come caseine, lattoglobuline e lattoalbumine; se trovate queste parole dovete intendere che sono presenti le proteine del latte vaccino.

La reintroduzione dovrà avvenire con tempi e modalità stabiliti dal pediatra, senza tentativi estemporanei da parte dei genitori: le eventuali reazioni, possibili per dosi anche piccolissime di proteine del latte vaccino, potrebbero essere molto pericolose per il bambino.

 

L’INTOLLERANZA AL LATTOSIO

L'intolleranza al lattosio è un disturbo provocato dalla carenza di un enzima, la lattasi, necessario per digerire lo zucchero tipico del latte e dei latticini, il lattosio. La funzione della lattasi è quella di  scindere il lattosio nei suoi due zuccheri semplici che lo compongono: galattosio e glucosio.

In caso di carenza o mancanza totale di questo enzima, il lattosio non viene digerito e rimane nel lume intestinale dove viene fermentato dalla flora batterica intestinale con conseguente richiamo di acqua e produzione per fermentazione di gas.

La lattasi è quindi un enzima fondamentale che permette già in età neonatale la digestione del latte di mamma, ricco di lattosio. La lattasi compare infatti già alla 23ma settimana di gestazione e la sua attività aumenta nel corso della gestazione fino a raggiungere il massimo alla nascita; resta massima per tutto il periodo in cui l’allattamento costituisce il nutrimento esclusivo del bambino e dopo lo svezzamento inizia a decrescere con una riduzione progressiva geneticamente programmata, ma estremamente variabili da individuo a individuo, in età adulta.

La sintomatologia è caratterizzata da vari disturbi aspecifici (nel senso che non sono solo tipici di questa condizione) soprattutto a carico del tratto intestale (crampi addominali, meteorismo, distensione addominale, digestione lenta, senso di gonfiore gastrico e diarrea) che insorgono da 1-2 ore a poche ore dopo l’ingestione di alimenti che contengono lattosioLa sintomatologia è differente da paziente a paziente, con manifestazioni di diversa entità ed importanza, a seconda del grado di carenza di produzione dell’enzima lattasi.

L’intolleranza al lattosio è presente in più della metà della popolazione mondiale, tuttavia varia in base all’etnia e alla zona. Circa il 50% della popolazione italiana ne è affetta, anche se non tutti i pazienti manifestano sintomi.

Esistono tre forme di intolleranza al lattosio

- GENETICA: è generata dal deficit di produzione della lattasi. Si può manifestare nel bambino con lo svezzamento (a circa 2 anni di età) oppure più tardivamente nell’adulto dovuta alla riduzione progressiva della produzione della lattasi.

- SECONDARIA: è invece secondaria ad altre patologie, acute (infiammazioni e infezioni dell’intestino come salmonellosi, colera, enteriti acute), croniche intestinali (celiachia, morbo di Crohn, linfomi, enteriti attiniche, sindrome dell’intestino irritabile), trattamenti antibiotici, chemioterapici o con radiazioni ionizzanti ed in genere è una forma transitoria che si risolve nel momento in cui si ha la guarigione della malattia responsabile.

- CONGENITA: è molto rara e di origine genetica, caratterizzata dall’incapacità totale e permanente di produrre la lattasi sin dalla nascita (il neonato sviluppa diarrea non appena nutrito con latte materno o formulato) e persiste tutta la vita.

Esistono due strategie per fare la diagnosi: H2-Breath Test e il Test Genetico.

L’unica terapia dell’intolleranza al lattosio è l’esclusione dalla dieta degli alimenti contenenti lattosio. In caso di intolleranza secondaria va eliminato per un periodo variabile, di almeno 3-9 mesi, per permettere la remissione completa di tutti i sintomi e la ripresa della normale funzionalità intestinale, per poi reintrodurre a dosi sempre maggiori il lattosio nella dieta per valutare la tollerabilità individuale. Se invece si tratta di intolleranza genetica o congenita, gli alimenti contenenti lattosio devono essere esclusi dalla dieta in modo permanente.

Dal momento che il lattosio si può trovare anche come ingrediente o come conservante o addensante negli alimenti, è fondamentale leggere attentamente l’elenco degli ingredienti sull’etichetta nutrizionale per evitare l’introduzione accidentale di quote di lattosio.